Marco Martinelli, fondatore delle Albe (1983) insieme a Ermanna Montanari, con la quale ne condivide la direzione artistica, è autore e regista di Lettere a Bernini, che si svolge in un giorno d’estate dell’anno 1667, esattamente il 3 agosto. In scena, nel suo studio di scultore, pittore e architetto, il vecchio Gian Lorenzo Bernini, la massima autorità artistica della Roma barocca, è infuriato con Francesca Bresciani, intagliatrice di lapislazzuli che ha lavorato per lui nella Fabbrica di San Pietro e che ora lo accusa, di fronte ai cardinali, di non pagarle il giusto prezzo per il suo lavoro.
Nell’infuriarsi con la donna, Bernini evoca l’ombra dell’odiato rivale Francesco Borromini, il geniale architetto ticinese. Un’evocazione in absentia, al pari di quelle dei suoi allievi, ai quali Bernini si rivolge, discutendo con loro, mettendoli in posa, facendoli recitare nelle commedie da lui scritte e dirette, perché imparino a incarnare gli affetti, i sentimenti che dovranno trasferire nel marmo.
Quando giungerà la notizia inaspettata del suicidio di Borromini, la furia cederà il passo alla pietas: Bernini giungerà a riconsiderare l’opera del collega, riconoscendone l’alto valore.
Attraverso una drammaturgia in cui la voce monologante dell’attore e quella di Bernini si rincorrono e sovrappongono senza soluzione di continuità per generare sulla scena, come scolpendo nel vuoto, presenze, figure e ricordi, l’opera di Martinelli ci mostra un Seicento che parla di noi, sospeso tra il secolo della Scienza nuova e l’attuale imbarbarimento, sempre più incombente.