Baccanti parla di un rito arcaico. Questa tragedia ci appare oggi misteriosa e rivoluzionaria in quanto l’autore sembra rinunciare definitivamente all’idea che vi sia una forza ordinatrice alla base del Cosmo. Bacco è un’entità androgina ed eversiva: è il regista che tiene segretamente le fila di tutti gli eventi. La divinità dai molti nomi e dalle molte storie, che più di tutte tra i greci rappresenta il Caos, è al tempo stesso il legame con la Zoè, la forza vitale che tutto attraversa. Dio e disordine finiscono per identificarsi, così come Penteo e Dioniso si contrappongono e si rispecchiano come due opposti che si attirano e si respingono.
Baccanti è un mondo rovesciato dove il razionale, virile, Penteo, il re dalle certezze assolute, viene sedotto dall’ambiguo straniero, che lo irretisce in un gioco al massacro, dove sarà proprio la madre Agave a smembrarlo gioiosamente, mentre i vecchi Cadmo e Tiresia sono follemente sapienti e amorali, le donne non rispettano le regole e si inebriano danzando e fondendosi con la natura.
Nella stanza di un museo infestato da presenze malefiche, che forse è la traduzione spaziale della mente di Penteo, si manifestano apparizioni e scomparse di sogni e di inconfessabili desideri. Siamo in un circo demoniaco, dove regnano metamorfosi e travestimento. Baccanti è la celebrazione del mistero prepotente fino all’assurdo di Dioniso, della Zoé che non ha morale, la cui sacerdotessa è la potenza dell’imprevedibile forza eversiva femminile. Baccanti è una distruzione e una rinascita. In quest’opera Euripide sembra esprimere l’intuizione che nella cultura occidentale stia avvenendo una fine e un nuovo inizio.